“Più potere alla serie A", il governo tira dritto: passa l'emendamento Mulè, avvertimento a Gravina - Il Fatto Quotidiano (2024)

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“Più potere alla serie A", il governo tira dritto: passa l'emendamento Mulè, avvertimento a Gravina - Il Fatto Quotidiano (1)

Della proposta iniziale è sopravvissuto solo il comma sulla rappresentanza, che poi era anche l’unico davvero attinente al decreto Sport. Ma tanto basta per lanciare un messaggio, nonostante le lettere di Uefa e Fifa

di Lorenzo Vendemiale | 11 Luglio 2024

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Gabriele GravinaGiorgio MulèSerie A

Una Serie A più forte, una FederCalcio più debole. La riforma che i patron chiedevano da tempo e che non erano mai riusciti ad ottenere alla fine si fa per decreto. Anzi, si farà, perché il tanto controverso “emendamento Mulè”, stabilendo una maggior rappresentazione in consiglio ed in assemblea per chi apporta il contributo economico più grande al sistema, apre solo un percorso che dovrà essere poi ratificato all’interno del mondo dello sport. La strada insomma è ancora lunga, ma è tracciata.

Breve riassunto della vicenda che è diventata un’autentica telenovela nel corso delle ultime settimane. Come rivelato in anteprima dal Fatto a fine giugno, la Lega Calcio ha promosso ed è riuscita a far inserire all’interno del Decreto sport in fase di conversione un emendamento che stabiliva per legge l’autonomia tanto rivendicata dai presidenti del pallone. La firma ce l’ha messa Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia (stesso partito di Claudio Lotito) e vicepresidente della Camera, un esponente di peso della maggioranza, ma è chiaro che la proposta viene da lontano: in particolare dalla commissione di esperti di cui fanno parte due figli di presidenti della Repubblica come Giulio Napolitano e Bernardo Giorgio Mattarella, a cui la Lega Calcio aveva affidato in primavera il compito di studiare una soluzione per avere più autonomia dalla Figc.

Il testo in origine prevedeva tutta una serie di poteri e facoltà in più per la Lega Calcio che al momento vale solo il 12% dei voti in FederCalcio e conta su appena 3 consiglieri su 20, quindi di fatto non conta nulla. Innanzitutto, un peso elettorale “proporzionale al contributo economico”, visto che il pallone è un sistema di mutualità generale, ovvero si basa essenzialmente sul 10% dei proventi dei diritti tv che ogni anno la Serie A gira al movimento. Di qui la rivendicazione dei patron. Ma poi anche una “autonomia statutaria e regolamentare”. E addirittura il diritto di veto su tutte le delibere federali che riguardano “direttamente o indirettamente” la Serie A, e la possibilità di fare ricorso contro eventuali provvedimenti contrari subito al Tar, saltando la trafila della giustizia sportiva. Di fatto, l’emendamento avrebbe reso indipendente la Serie A, un po’ sul modello Premier League pur rimanendo all’interno del sistema, relegando in una posizione di totale marginalità la FederCalcio di Gabriele Gravina.

Le proteste erano prevedibili. E infatti la Figc, che all’inizio impegnata con la nazionale agli Europei in Germania era stata colta impreparata dal blitz dei patron, ha fatto fuoco e fiamme nel tentativo di affossare il provvedimento, smuovendo tutte le proprie influenze. L’ultimo colpo di teatro, la lettera inviata da Uefa e Fifa nel giorno decisivo, che paventava fantomatiche sanzioni nei confronti del calcio italiano, come l’esclusione dalle coppe europee o la revoca dell’Europeo. La solita pantomima della violazione dell’autonomia sportiva, spauracchio già agitato anni fa da Giovanni Malagò contro la riforma che ridimensionava il suo Coni. Una minaccia a cui non crede più nessuno (ve le immaginate Fifa e Uefa che non hanno il coraggio di colpire Stati canaglia per gravissime violazioni dei diritti umani, escludere le squadre italiane per un cavillo amministrativo?), sempre però di grande effetto mediatico. Ma stavolta il governo ha tirato dritto, almeno parzialmente.

Della proposta iniziale, in realtà, nell’emendamento riformulato più volte e approvato alla fine in commissione è sopravvissuta solo la prima parte. Caduta la norma sulla giustizia (da subito a rischio illegittimità), i patron hanno dovuto rinunciare anche al diritto di veto (oggettivamente per come era stata scritta la norma era parecchio invasiva), e alla fine persino all’autonomia. Rimane il comma sulla rappresentanza, che poi era anche l’unico davvero attinente all’articolo del decreto che riguarda le regole delle elezioni federali: “Nel rispetto degli statuti delle federazioni di riferimento (…), le leghe sportive professionistiche hanno diritto a un’equa rappresentanza (…) che tenga conto anche del contributo economico apportato al relativo sistema sportivo”. In cambio, all’ultimo minuto il Ministero dell’Economia ha preteso di inserire una prescrizione per tutti i club che dovranno essere in regola al pagamento con i debiti fiscali nei confronti dello Stato per utilizzare i crediti in camera di compensazione. Un modo per obbligare le squadre a pagare le tasse, un segnale che Giorgetti ha voluto mandare al pallone.

Il risultato è che la Serie A, insieme alla B e alla C, dovrà pesare di più. Cifre precise non ce ne sono, spetterà al mondo del calcio stabilirle, ma una soglia ragionevole potrebbe essere intorno al 50% complessivamente per l’area del professionismo, e almeno al 25% per la massima serie. Per il momento non è una rivoluzione, come sognavano i patron, ma una scossa che cambierà tanti equilibri: la Serie A può comunque festeggiare. Il resto si vedrà in futuro: non è escluso che i punti stralciati possano essere ripresi in un successivo disegno di legge, per una riforma più organica con il coinvolgimento delle parti, come auspicava il ministro Abodi. Tutti elementi che la Figc non ha mai saputo, o voluto, affrontare. Per questo l’approvazione di oggi, se non un vero e proprio atto di sfiducia o uno schiaffo a Gravina, che è riuscito ad attutire il colpo, è quantomeno un avvertimento.

X: @lVendemiale

Gabriele GravinaGiorgio MulèSerie A

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    Washington, 14 lug. (Adnkronos) - Il tentato assassinio di Donald Trump è solo l'ultimo di una serie di violenze politiche che hanno preso di mira presidenti in carica o futuri presidenti Usa. Dalla fondazione degli Stati Uniti, infatti, quattro presidenti sono stati uccisi e molti altri sono stati presi di mira, così come alcuni candidati.

    Il primo presidente americano a essere assassinato è stato Abramo Lincoln, ucciso a colpi di arma da fuoco da John Wilkes Booth il 14 aprile 1865. Quando è stato colpito era a teatro con la moglie Mary Todd Lincoln. E' morto la mattina successiva a quando è stato colpito alla testa. Due anni prima dell'assassinio, durante la Guerra civile combattuta contro la schiavitù, Lincoln emanò il Proclama di Emancipazione che garantiva la libertà agli schiavi all'interno della Confederazione. Ed è proprio il suo sostegno a favore dei diritti dei neri che è stato indicato come movente dietro il suo omicidio. Booth venne ucciso a colpi di arma da fuoco il 26 aprile, dopo essere stato trovato nascosto in un fienile vicino a Bowling Green, in Virginia.

    James Garfield fu il secondo presidente degli Stati Uniti a essere assassinato. Venne colpito a morte mentre camminava all'interno di una stazione ferroviaria di Washington il 2 luglio 1881. A sparare fu Charles Guiteau. Alexander Graham Bell, l'inventore del telefono, tentò senza successo di trovare il proiettile conficcato nel petto per estrarlo, utilizzando un dispositivo da lui progettato appositamente per il presidente.

    Garfield rimase in convalescenza alla Casa Bianca per diverse settimane, fino alla sua morte avvenuta a settembre. Ha ricoperto la carica di presidente degli Stati Uniti per sei mesi. Guiteau è stato dichiarato colpevole e giustiziato nel giugno 1882.

    Nel 1901 venne ucciso il 25esimo presidente degli Stati Uniti, il repubblicano William McKinley. Fu colpito a morte il 6 settembre del 1901 dopo aver tenuto un discorso a Buffalo, New York, dopo aver stretto le mania numerosi sostenitori. McKinley è stato colpito al petto due volte, da distanza ravvicinata. Sebbene i medici si aspettassero che si riprendesse, attorno alle ferite da arma da fuoco si sviluppò la cancrena e McKinley morì il 14 settembre, sei mesi dopo l'inizio del suo secondo mandato. Leon Czolgosz ha ammesso di aver sparato ed è stato condannato a morte sulla sedia elettrica in ottobre.

    McKinley è noto soprattutto per aver vinto una campagna elettorale rimasta memorabile per l'asprezza e l'intensità con cui venne combattuta e per aver condotto vittoriosamente la guerra ispano-americana per la presa di Cuba, allora colonia spagnola.

    La sera del 15 febbraio del 1933 il presidente americano Franklin Delano Roosevelt scampò a un tentato omicidio a Miami. Nella sparatoria perse la vita il sindaco di Chicago Anton Cermak fu ucciso. L'anarchico italiano naturalizzato statunitense Giuseppe Zangara fu condannato a morte per la sparatoria.

    Illeso anche Harry Truman in un tentato omicidio nel novembre del 1950, quando alloggiava a Blair House di fronte alla Casa Bianca. Due uomini armati fecero irruzione nella sua casa, dove un poliziotto e uno degli aggressori persero la vita. Altri due poliziotti rimasero feriti. Oscar Callazo fu arrestato e condannato a morte in relazione all'aggressione, ma nel 1952 Truman commutò la sua condanna in ergastolo. Fu rilasciato dalla prigione nel 1979 dal presidente Jimmy Carter.

    L'assassinio più famoso della storia americana avvenne il 22 novembre 1963, quando John F. Kennedy fu colpito a morte mentre attraversava Dealey Plaza a Dallas a bordo del corteo presidenziale. Ore dopo l'assassinio, la polizia arrestò Lee Harvey Oswald dopo aver trovato una postazione da cecchino in un edificio vicino, il Texas School Book Depository.

    Due giorni dopo, mentre Oswald stava per essere portato in prigione dalla stazione di polizia, il proprietario del night club di Dallas, Jack Ruby, si precipitò verso di lui e gli sparò, uccidendolo. A Kennedy successe il suo vicepresidente, Lyndon Johnson, che prestò giuramento a bordo dell'Air Force One, diventando così l'unico presidente a prestare giuramento su un aereo.

    Nel 1975 Gerald Ford uscì illeso da due tentativi di assassinio avvenuti a distanza di poche settimane l'uno dall'altro. Nel primo attentato Ford si stava recando a un incontro a Sacramento quando Lynette Fromme, discepola di Charles Manson, si fece largo tra la folla e gli puntò contro una pistola. L'arma si inceppò e Fromme fu condannata al carcere e rilasciata nel 2009.

    Solo 17 giorni dopo un'altra donna, Sara Jane Moore, affrontò Ford fuori da un hotel di San Francisco, sparando un colpo e mancando il bersaglio. Un passante le ha afferrato il braccio mentre tentava di sparare un secondo colpo. E' stata rilasciata dalla prigione nel 2007.

    Nel marzo del 1981 il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, dopo aver tenuto un discorso a Washington, venne colpito da John Hinckley Jr., che si trovava tra la folla. Reagan si riprese, ma il suo addetto stampa James Brady rimase parzialmente paralizzato. Hinckley è stato arrestato e mandato in un ospedale psichiatrico dopo che una giuria lo ha dichiarato non colpevole per infermità mentale. E' stato liberato nel 2022.

    Nel 2005 il presidente americano George W. Bush stava partecipando a un comizio a Tbilisi, in Georgia, quando gli è stata lanciata una bomba a mano. Si trovava dietro una barriera antiproiettile e la granata non è esplosa. Vladimir Arutyunian è stato riconosciuto colpevole e condannato all'ergastolo.

  • 13:17 - Roma, maxi rissa in stazione metro Barberini: 5 arresti

    Roma, 14 lug. (Adnkronos) - Maxi rissa ieri, sabato 14 giugno, nella stazione della metropolitana Barberini di Roma. Cinque persone sono state arrestate per rissa e denunciate per interruzione di pubblico servizio, mentre tre minori sono stati denunciati per gli stessi reati dalla polizia.

    La violenta lite è scoppiata tra due gruppi di sudamericani, fra loro probabilmente anche qualche borseggiatore, intorno alle 20. Gli agenti della polizia sono intervenuti facendo uscire i viaggiatori per motivi di sicurezza e il servizio è ripreso regolarmente dopo una decina di minuti.

    In particolare sono finiti in manette un 40enne colombiano, un peruviano di 24 anni e uno di 25 anni, un cubano di 23 e un egiziano di 19. Tra i minori denunciati ci sono un albanese di 17 anni e due egiziani di 16 anni.

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